domenica 6 dicembre 2009

aumma .......aumma......

L'ITALIA E' UNA REPUBBLICA FONDATA SUL SEGRETOCondividi
Oggi alle 15.18
Avevo 16 anni quando esplose la bomba di Piazza Fontana. Oggi ne ho 56 e ancora non so chi sia il colpevole di quella strage. Il nostro Presidente della Repubblica ci ha invitato a “non dimenticare quella lezione”. Non ho capito in che senso, sto invecchiando. Quale lezione? Non sappiamo neppure quale cattivo maestro ce l’abbia impartita. L’unica lezione che ho appreso da Piazza Fontana è che andrebbe cambiato l’art. 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul segreto.
Il Presidente si è poi rivolto ai familiari delle vittime, riunite in Prefettura, e ha detto loro: “Ho ammirazione per voi, continuate a operare con tenacia, passione civile, per alimentare la memoria collettiva e la riflessione.” Ha aggiunto: “Continuate ad operare per recuperare ogni elemento di verità possibile”. Anche qui non ho capito in che senso. Devo essere, davvero, molto ma molto invecchiato. Sono i familiari delle vittime che devono indagare? Sì, il nostro è uno Stato che fa cadere le braccia.
Infine, il Presidente della Repubblica fondata sul segreto, ha concluso: “Non tutto quello che è avvenuto nella nostra società è chiaro e limpido.”
Nonostante gli acciacchi degli anni, ne avevo il sospetto.
Poiché Napolitano è persona perbene, ha salutato le vittime del segreto, rincuorandoli: “Vi sarò sempre vicino.” Sono sicuro che sia stato sincero. Può bastare? No. Piazza Fontana è le Fosse Ardeatine della nostra generazione. Quell’eccidio, eseguito dalle truppe di occupazione tedesche a Roma, ebbe, come responsabile, l’ufficiale delle SS Herbert Kappler. Le “forze di occupazione” responsabili dell’eccidio di Piazza Fontana, invece, sono ancora fantasmi della notte della Repubblica. E se sull’impero di Carlo V “non tramontava mai il sole”, da noi, nell’impero del segreto, non sorgerà mai l’alba. Perché la verità è sempre scomoda e oscurarla conviene. Questo il pensiero omertoso, mafioso, del mio Paese. La lezione che ho appreso in quarant’anni. Ma siamo in tanti a chiedere giustizia, anche dei nostri destini deviati da questo ed altri segreti. Combatteremo sempre.
Passo di palo in frasca, come un italiano qualsiasi di mezza età. Chi lotta per la verità -dicevo- non può tirarsi indietro se essa è scomoda. Credo, di conseguenza, che il Presidente del Consiglio, Berlusconi, non abbia torto quando protesta che il primo scimunito di passaggio può denunciare il premier e costringerlo a difendersi anche da accuse assurde, impedendogli l’esercizio delle sue funzioni conferitogli dagli elettori. Ma questa è solo una faccia della verità. L’altra è che egli è stato ed è tuttora indagato o coinvolto in molteplici processi. Mi arrischio persino a credere, per amore di ogni possibile verità, che le indagini a suo carico siano tutte frutto delle delazioni di scimuniti, avvallate da giudici “comunisti”, che è, grosso modo, la sua opinione e la propria linea difensiva. Se pure le cose stessero così, mi sarebbe impossibile aderire al cosiddetto “processo breve” e a qualsivoglia “Lodo Berlusconi”, qui e ora. Perché l’urgenza di legiferare sul punto che siano sospesi i processi pendenti sul premier, dando priorità al mandato della maggioranza dei cittadini affinché esso governi, è stata dettata con tutta evidenza dalle accuse, giuste o ingiuste, che gli piovono sul capo qui e ora. Con la conseguenza che un principio democratico anche condivisibile, quello di una “sospensiva” dei processi per non inibire, a fini politici, il mandato degli elettori, oggi, legiferato mentre il premier è sotto processo e con effetto “salvifico” retroattivo, s’infrange fatalmente contro il principio sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.
Ha ragione Berlusconi: è intollerabile che, con una “scusa” giuridica, sia impedito al premier di assolvere al suo mandato. Ma è altrettanto ragionevole che sia democraticamente intollerabile un premier che governi gravato dal sospetto che, proprio grazie a quella carica, si sia sottratto alla giustizia.
Il sospetto è figlio del segreto.
Nel titolo ho giocato amaramente con l’art.1 della Costituzione, che, come tutti sappiamo, fonda la nostra Repubblica democratica sul “lavoro”. Il Lodo Berlusconi aggraverebbe il paradosso iniziale e la lunga notte di questi quarant’anni. La nostra diventerebbe una Repubblica non solo fondata sui segreti, pure sul ragionevole sospetto.
Ma come si può, in democrazia, arrivare a questa aberrante percezione del Paese? Questo è il punto. Uno che aveva 16 anni a Piazza Fontana, ci arriva, purtroppo, senza neppure essere troppo fazioso o apocalittico. È bastato tenere gli occhi aperti nel buio, come i gatti, attendendo un’alba che non è mai arrivata. Ma per chi non mi avesse ancora capito, faccio un esempio.
Oggi, per esempio, leggo “Il Fatto”. Un giornale che, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, ma che se non ci fosse Berlusconi non sarebbe mai nato. (E già questa ci darebbe da pensare per altri quarant’anni). Dunque, “Il Fatto” oggi pubblica, su quattro paginoni, la sentenza del processo a Marcello Dell’Utri, braccio destro del nostro presidente del Consiglio negli anni in cui nacque la Fininvest. La madre di tutte le televisioni. Perché la definisco tale? Perché, anche grazie a Canale 5, Rete 4 e Italia 1, Berlusconi è diventato Presidente del Consiglio, e grazie a questa carica oggi può, di fatto, controllare le altre tre, se non proprio in tutto, in larga parte: Rai 1, Rai 2, Rai 3. Mentre -sia detto per democratico inciso- se alle ultime elezioni avesse vinto Veltroni, non avrebbe mai potuto controllare le reti Mediaset. Sarà ovvio, ma occorre ricordarlo, perché la nostra Repubblica è fondata sui segreti, sui sospetti, ma anche su una ben orchestrata confusione.
Dalla lettura della sentenza del processo Dell’Utri, molte cose le conoscevo già, altre no. Per esempio le riunioni fra Berlusconi e il capomafia di allora, Stefano Bontate. Non sto qui a menarvela con le inquietudini che a un italiano di mezza età sopravvengono alla scoperta, provata (ricordo che Dell’Utri è stato condannato a 9 anni) che il proprio presidente, non solo avesse assunto un mafioso come stalliere e consacratolo alla storia come “eroe”, ma che abbia elargito favori e denari a un’organizzazione criminale, come sostengono gli atti. Mi sono scandalizzato di ben altro. E di cosa, buon Dio? Mi sono scandalizzato che non lo sapessi ancora. Da 40 anni leggo una media di cinque quotidiani al giorno (da qualche tempo sei) non manco a un appuntamento con le edizioni serali di due o tre Tg, e ho seguito, con macabra, inesorabile puntualità, tutti i più grandi processi a “Porta a porta”.
Se Shakespeare fosse vivo e interessato ai fatti italiani come, ai suoi tempi, alle diatribe veronesi fra i Montecchi e i Capuleti, avrebbe forse scritto di Erika e Omar? Del delitto Meredith? Della mamma di Cogne? Da Bruno Vespa a Shakespeare, chiunque (giornalista o drammaturgo) non avrebbe potuto far altro che dedicarsi a questo “Romeo e Giulietta”, a questa tragica storia d’amore e sangue fra Stato e Mafia, a questo processo Dell'Utri che sembra una terribile fiaba. Il futuro Presidente del Consiglio che tratta con Stefano Bontate. Ma scherziamo?
Invece, silenzio. Ne parla Travaglio (ma si sa, è di parte). I giornali non possono tacerlo, ma certi particolari vengono sottaciuti, e quando mai gli si è data l’enfasi elargita a piene e sporche mani come per il caso Marrazzo, il presidente di una regione scoperto con un trans? Udite udite! Un trans! E del premier “attovagliato” (per usare il gergo di “Dagospia”) con il padrino della mafia degli anni Ottanta? Aumma aumma. La madre di tutte le televisioni tace (e lo credo). Le altre idem. Shakespeare è morto. Noi stiamo diventando vecchi e la sentenza a Dell’Utri è stata, di fatto, segretata, tranne che su “Il Fatto” di stamane. Non basta come esempio? Che cosa c’è di apocalittico nell’affermare che la nostra Repubblica è fondata sul segreto, sul sospetto e sull’omertà?
Pagheranno tutti quelli che oggi tacciono? Quelli che oggi ci impediscono di lavorare perché abbiamo il vizio, come i gatti, di tenere aperti gli occhi in questa lunga notte della Repubblica? Me lo auguro, non per giustizialismo, per giustizia. Viviamo sotto un regime mediatico da incubo. Un giorno sarà chiaro e verrà l’alba. Quel giorno non ci dicano che avevamo ragione. Continuino a stare zitti, è meglio.

(Roma, 9 Dicembre 2009)

Nessun commento:

Posta un commento